Il perdono della luna

Endre Ady
Il perdono della luna
Poesie 1906-1919

a cura di Gabriella Caramore
traduzione di Vera Gheno e Gabriella Caramore
con testo a fronte
Letteratura universale Marsilio – 2018

Nella capanna di terra

Com’è fredda questa capanna di terra.
Com’è eroico l’essere umano,
se con ideali e sogni bruciati
oggi, ancora, non vuole morire.

Quante cose sono andate perdute,
eppure le attende tenace:
era un sogno, un brutto suo sogno,
e lo salva solo un miracolo.

O tu, che pensi alla morte
non pensare, oh, prezioso bene,
quando invece la realtà è realtà
e ormai tutto è deserto.

La vita oggi è un debito orrendo,
chi oggi pianifica non ha nessun piano,
la paglia delle fedi è cenere umida,
ma vivere comunque bisogna.

Maledetto, percosso dai ricordi,
qui nella fredda capanna
credere che vada tutto bene,
com’è divino, e com’è triste.

Qui in mezzo alla cenere e a neve rossastra,
sulla gronda gelata con ghiaccioli di sangue;
quant’è lontana la Lontananza,
quant’è vicina la Vicinanza.

Quant’è lontana la Lontananza,
quant’è distante la Distanza,
e come un Dio risplende
l’Uomo che non vuole morire.

Endre Ady (nato a Érmindszent nel 1877, morto a Budapest nel 1919) è uno dei grandi poeti europei del Novecento.  È vissuto nell’Ungheria a cavallo di due secoli, alla vigilia del crollo dell’impero austro-ungarico, mentre il paese era combattuto tra arretratezza e modernità, tra le grandi rivendicazioni sociali del secolo, stroncate dalla tragedia della grande guerra, e la nascita dei grandi movimenti artistici e culturali dell’inizio del secolo scorso.

Di tutti gli umori del tempo ha fatto materia dei suoi versi. Poeta “maledetto”, consumato dall’alcool e dal fumo, spesso in povertà, ma con l’ambizione di frequentare il grande mondo internazionale della cultura, fu portato a morte precoce dalla sifilide contratta in un incontro occasionale. Inviso ai benpensanti, adorato dal popolo e dagli artisti, nella Budapest in cui si addensavano le ombre di un fascismo spietato seppe tenere aperto uno spiraglio di libertà, assieme ai Béla Bartók, György Lukács, Lajos Kassák. Di famiglia calvinista, ebbe sempre una passione profonda per i testi della tradizione biblica, senza mai farne oggetto di una devozione formale. Anche il suo porsi come un “ateo che crede” lo fa sentire vicino alla sensibilità dell’Occidente contemporaneo.

…Siamo solo in tre sulla grande pianura:
Dio, io e una maledizione contadina.
So bene che tutti moriremo.
Ma io lancio un forte grido spietato…

Da più dimezzo secolo mancava, in Italia, una antologia delle opere poetiche di Endre Ady. Penalizzata dalla particolarità della lingua ungherese e dall’eccentricità metrica dei suoi versi, la poesia di Ady merita invece di essere considerata da vicino. In primo luogo perché dando voce profetica alle tensioni e ai conflitti della storia fa vibrare anche quelli del nostro tempo; ma anche perché scava nelle lacerazioni, nelle dissonanze, nelle passioni in cui si impigliano le vite dei singoli, con una nostalgia straziata di esistenza piena, di vita vera. L’attenzione alle pulsazioni brevi, agli esigui splendori del vivente, e insieme una religiosità libera e lo avvicina a grandi figure della poesia europea. Per questo Endre Ady può essere il poeta di questo nostro tempo ansioso in cui l’amore e l’orrore sembrano fronteggiarsi quotidianamente. Il timbro acuto dei suoi versi può aiutarci a decifrare i grovigli del nostro presente e dei nostri cuori inquieti.

… Sono uomo di luce ammantato di nebbia,
sono desiderio di attesa,
sono il miracolo degli abitanti della palude.
Nato per portare la luce, sono rimasto quaggiù.
Attendo un mattino che sciolga la nebbia, attendo che giunga l’aurora…